William Navarrete / Villas imperiales de Marruecos.
ODA MARCIAL
William Navarrete
La noche similar a un gato imperial…
Rachid Moumni, El gato imperial.
Tú que eres el Rey
y dices y defiendes tu noble casta,
que traes la voz de Dios,
para que la oigan,
quiéranlo o no,
los súbditos de tu reino
de arenas, montañas y algas,
escala el pico más alto de los Atlas,
vuélvete águila
o golondrina milagrosa
que anuncia la llegada de las flores
y salva al pastor de la aridez,
al emigrante de las aguas,
al niño de las llamas voraces del vicio,
a la mujer de la pesada túnica.
Sálvalos ahora,
que puedes convertirte
en el Bien Amado,
ahora que tienes el poder
de sembrar ríos
y levantar palacios
sobre las ruinas del dolor,
de llenar de frutas la boca del anciano
y liberar la voz de los poetas.
He andado tu pueblo,
explorado las grietas en el rostro
de una plaza antes de la oración,
tocado la humedad de un cuerpo
que se seca al aire
porque lleva las lágrimas por dentro,
ascendido con el aroma de las mentas
expuestas a las brasas del té
hasta las bóvedas que protegen
tu reino.
He subido a las nieves,
mirado desde abajo el cielo
que se resiste a fundirlas
para darle agua a los rebaños,
rozado la mirada al implorar
que le lleven lejos,
entrado en el secreto de la noche,
escurridiza prófuga de la luz artificial
de las linternas que vigilan
tu reino.
Mas he visto llover
cuando mi alma,
acostumbrada al verdor,
se iba muriendo
y me he visto, a mí mismo,
enjuagándome los pies
como hacen tus fieles al entrar
en los recintos sagrados de la fe,
para quitarme el barro de estas calles
donde parecen empantanarse
la nota más alegre
de los encantadores de serpientes
y la plegaria inútil de los enfermos.
Soy demasiado pobre
y no puedo ofrecer
más que este canto,
tal vez incompleto, difícil,
tal vez afónico, quizás muerto.
Tómalo tú
que puedes transformarlo
y encaja para siempre,
con firmeza,
tu corona de riquezas
en mi verso.
Lo que dice Patrizia Garofalo sobre este poema que acaba de ser incluido en la "Antología de Poesía Cubana" de las Ediciones Il Foglio (Toscana).
Ode marziale, por Patrizia Garofalo
Riconosciamo in questo inedito, lo stile articolato ed insieme solenne di Navarrete. Questa ode morale e civile si snoda nel ritmo di una preghiera che lo avvicina alla nostalgia del poeta marocchino, suo contemporaneo, Rachid Moumni a cui si rivolge nella dedica. La sofferta e trovata indipendenza del Marocco, sembra aver partorito dimenticanza della storia in un’ urbanizzazione di massa e un allontanamento dalle tradizioni originarie che partoriscono la necessità di riappropriarsi di un passato da conservare nelle sue tradizioni più vere per non dimenticare quando uomini coraggiosi vissero e morirono, per la libertà. La nostalgia non è ricordo del passato ma è la ricerca disperata della “casa” dove alloggiare l’animo e il corpo e dove convivere con la storia del proprio popolo. Essa diventa quindi luogo divino del persistere della storia, tempio di gloria, altare di onori, sacrifici, lutti e memoria. La parola poetica trasmuta in parola mistica, il poeta è il Dio-vate, unico capace di riscoprire quanto desacralizzato dal benessere materiale e tecnologico e diventa unico voce di verità e di coscienza morale alla quale Navarrete si appella.
Perché il canto possa essere udito da tutti egli lo immagina come aquila che sorvola il cielo e rondine di primavere sempre annunciate, come rinascita, pronte a salvare dall’aridità, il pastore del deserto, l’emigrante, il bambino, la donna “salvali ora/ che puoi trasformarti/ nel Ben Amato/ ora che hai il potere/ di seminare fiumi/ e sollevare palazzi/ sopra le rovine del dolore/ di riempire di frutta la bocca dell’anziano/ e liberare la voce dei poeti". Cogliamo quanto sia diversa e vaticinante questa tipologia espressiva di Navarrete, lontana dalla posizione dell’Albatros di Baudelaire, dal solipsismo, dal rinchiudersi in se stesso lontano da tutti. Nella tradizione lirica del suo amico Rachid Moumni il disegno accompagna la grafica ma l’immagine dell’anziano la cui bocca è riempita di frutta offre nello stesso modo un pittoricità sconfinata del Nostro, quasi preconizzante un’anzianità di gioie ritrovate. Egli attraversa le strade della antica Medina, ne coglie le pieghe del tempo, le crepe, le rughe della pelle, ne tocca il corpo che si asciuga all’aria, bagnato di lacrime trattenute a forza.
Il cammino in salita lo conduce verso le pietre della antica Medina “alle volte che proteggono il tuo regno”il cielo aiuta benevolo le nevi a fondersi con l’acqua e dissetare le greggi, Navarrete entra nel segreto della notte “sfuggente profuga della luce artificiale “, vive la catarsi della pioggia che lava il fango dai piedi prima di entrare nei luoghi di culto. Il poeta offre il suo verso con “ Sono molto povero/ e non posso offrire/ niente più che questo canto”. “Tu non altro che il canto avrai del figlio/ o materna mia terra ; a noi prescrisse il fato/ illacrimata sepoltura/Impossibile non ricordare A Zante di Ugo Foscolo anche lui come Navarrete esule e lontano dalla terra che ama, anche lui poeta vate di antiche glorie e di una nostalgia che troverà la quiete, nell’immortalità della poesia.
Patrizia Garofalo
La traducción italiana de Gordiano Lupi
ODE MARZIALE
La notte assomiglia a un gatto imperiale…
Rachid Moumni, Il gatto imperiale
Tu che sei il Re
e dici e difendi la tua nobile casta,
che porti la voce di Dio,
perché la ascoltino,
che lo vogliano o no,
i sudditi del tuo regno
di rena, montagne e alghe,
scala la vetta più alta degli Atlanti,
trasformati in aquila
o rondine miracolosa
che annuncia l'arrivo dei fiori
e salva il pastore dall'aridità,
l'emigrante dalle acque,
il bambino dalle fiamme voraci del vizio,
la donna dalla pesante tunica.
Salvali ora,
che puoi trasformarti
nel Ben Amato,
ora che hai il potere
di seminare fiumi
e sollevare palazzi
sopra le rovine del dolore,
di riempire di frutti la bocca dell'anziano
e liberare la voce dei poeti.
Sono andato al tuo paese,
ho esplorato le crepe nel volto
di una piazza prima della orazione,
ho toccato l'umidità di un corpo
che si asciuga all'aria
perché trattiene le lacrime dentro,
sono salito con un aroma di menta
esposta alle braci del tè
fino alle volte che proteggono
il tuo regno.
Sono salito alle nevi,
ho osservato da sotto il cielo
che si oppone a fonderle
per dare acqua alle greggi,
accarezzando lo sguardo per implorare
che le portino lontane,
sono entrato nel segreto della notte,
sfuggente profuga della luce artificiale
delle lanterne che sorvegliano
il tuo regno.
Ancora ho visto piovere
quando la mia anima,
abituata al verde intenso,
stava morendo
e mi sono visto, me stesso,
sciacquandomi i piedi
come fanno i tuoi fedeli quando entrano
nei recinti sacri della fede,
per togliermi il fango di queste strade
dove sembra impantanarsi
la nota più allegra
degli incantatori di serpenti
e la supplica inutile degli infermi.
Sono molto povero
e non posso offrire
niente più che questo canto,
forse incompleto, difficile.
forse senza voce, forse morto.
Prendilo tu
che puoi trasformarlo
e incastra per sempre,
con fermezza,
la tua corona di ricchezze
nel mio verso.